ali di luce

Ali di luce, nell'idea del suo creatore Raffaele Ascenzi, nasce in modo del tutto nuovo rispetto alle precedenti macchine, non solo e non tanto da un punto di vista strutturale esterno, quanto nella sua essenza: per la prima volta forma e significato si intersecano in un tutt'uno per voler saldare la Macchina di Santa Rosa alla città di Viterbo. Scrive Ascenzi: "dal punto di vista iconografico ho cercato di dare al progetto dei riferimenti che riuscissero sinteticamente a definire il genius loci di Viterbo. Gli archi, che avvolgono il cilindro nei tre livelli, sono divisi tra loro ed evidenziano la parte ogivale dal resto della struttura a tutto sesto, dando la testimonianza del passaggio dall'architettura romanica a quella gotica degli ordini mendicanti. E' una sorta di abbraccio che la loggia, simbolo della città, compie inizialmente in segno di raccoglimento verso il suo interno e che, successivamente, si protrae all'esterno ricercando un contatto più materiale con la sua gente." Al suo passaggio, nelle strette vie di Viterbo, si coglie, nelle emozioni della gente, che Ali di Luce ha raggiunto lo scopo d'identificare lo spettatore con il trasporto, rendendo un legame più stretto nei suoi significati più profondi. Ogni cosa è stata pensata dall'ideatore affinchè avesse un'attinenza con la città, con il senso e il significato dell'aspetto mistico/religioso dell'evento, con gli stessi protagonisti del trasporto: i Facchini di Santa Rosa.

I colori della Macchina, dai riverberi argentati, richiamano gli antichi metalli preziosi che addobbavano i baldacchini della Santa Viterbese nel passato; gli stessi leoni, quattro, rappresentano il simbolo di Viterbo, rivelato dalle stesse frasi poste alla base "Non temo parola, sono il Leone simbolo di Viterbo".

Gli stessi giochi di luce, creati con centinaia di candele, creano intorno al trasporto un'atmosfera particolare, suggestiva,

In tutto ciò l'intuizione geniale da parte di Ascenzi di creare una macchina "viva" dotata di un movimento meccanico proprio (le ali che si aprono) in un movimento, quasi fosse proteso idealmente, ad abbracciare a sé la popolazione tutta. Per la prima volta la macchina non sembra più solo un "campanile che cammina" ma un evento che coinvolge in maniera spettacolare tutti i soggetti coinvolti. Per dirla con le stesse parole di Ascenzi:"Riflettendo le luci della città ed i suoi abitanti, la Macchina s'avvicina al vero corpo della festa di S. Rosa, a quell'elemento di corale devozione che è lo scheletro e l'anima del rito religioso. E riferendosi ai Facchini, e quindi anche a se stesso, dichiara: "Per concludere, l'uomo che porta la macchina, il facchino, di conseguenza non è più solo il trasportatore di un'architettura effimera, di una struttura posticcia, ma l'espositore dell'ingegno, del progresso di un'intera comunità, il testimone di una nuova era."

 

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